È la versione modern classic della futuristica Z650: simili nei contenuti tecnici, puntano a sensibilità decisamente diverse. Noi ci siamo fatti prendere dalla nostalgia…

Nostalgia canaglia, cantava la “coppia più bella del mondo” al Festival di Sanremo 1987. E tra tutte le citazioni e i parallelismi probabili, quello che più calza in questo caso ci conduce nell’amazzonia cotonata della pop music nostrana, fino al duo Carrisi-Power. Che c’azzecca, direte voi? C’azzecca eccome: perché tornando alle moto, alla nostra dimensione naturale, abbiamo sentito parlare spesso di ritorno al passato; di fine del design; di lapidi poste sulla fantasia, ogni qual volta una casa produttrice ha proposto modelli in chiave retró. Insomma, tutto bollato (quasi con sprezzo) come “operazione nostalgia” figlia di una crisi delle idee e di uno spaesamento del mercato. Invece, la storia recente, quella degli ultimi 10/15 anni, ci ha dimostrato l’esatto contrario, con l’inequivocabile affermazione di quello che è oggi il segmento delle Modern Classic. È emersa insomma una fetta consistente di mercato, tutt’altro che facilmente abbindolata da un’estetica vintage, mirata a muovere cuore e pancia; ma anzi disposta al compromesso con la modernità e con la tecnologia di oggi, con tutte le comodità che facilitano l’uso quotidiano di una moto, a patto che, diamine, si possa almeno rivivere l’incanto della golden era delle due ruote che nessuno, proprio nessuno, è disposto a veder tramontare tra limitazioni, manutenzioni e difficoltà di gestione. Dopo la Z900 RS, che ci siamo gustati nello scorso numero, ci siamo fatti prendere la mano e siamo tornati a bussare alle porte della filiale nostrana della casa di Akashi, stavolta per fare le pulci alla sorella più piccola: la Z650 RS, dove RS sta appunto per Retro Sport. Se la componente rétro pare evidente da subito, vi anticipiamo che anche quella sportiva non manca affatto, pur celata sotto una veste classica ed elegante.

DA DOVE ARRIVA LA MOTO ORIGINALE? 

Facciamo un breve ripasso. È il 1976 quando Kawasaki avvia la produzione della Z con un volume termico portato a 650 centimetri cubici, versione che sbarcherà nel mercato italiano a partire dall’anno successivo, il 1977, con la Z650 serie B1 (antesignana delle evoluzioni successive, marchiate C e poi F, figlie di un susseguirsi di migliorie tecniche e finiture). All’epoca, unica nel proprio genere per motorizzazione, la Z650 incontrò il favore di un pubblico che era alla ricerca di una soluzione più mite e domabile, se paragonata alle concorrenti di cilindrata maggiore. Tutto ciò, grazie anche a un prezzo piuttosto competitivo, fissato poco sotto i due milioni e mezzo di lire. Con questa cifra ti mettevi in garage un quattro cilindri in linea compatto, decisamente robusto, con distribuzione a doppio albero in testa e due valvole per cilindro. Forse non un missile in termini assoluti, ma di certo soddisfacente con i suoi 64 CV e una rapportatura ben spaziata, in grado di lanciare i 217 kg a ridosso dei 200 km/h. E nell’ottica di un utilizzo più tranquillo anche i consumi si rivelarono piuttosto parchi (rispetto a quelli della sorella da 900 cc), sotto il giudizio preciso della batteria di 4 Mikuni VM 24 SS. Telaio e ciclistica non erano certo paragonabili, neanche minimamente, a ciò a cui siamo abituati oggi; a un doppia culla comunque notevole si accompagnavano sospensioni adatte a semplificare la vita negli spostamenti quotidiani, piuttosto che ingarellarsi come scavezzacollo. Gli stessi freni, che verranno saggiamente migliorati nelle versioni successive, si limitavano a un’accoppiata disco singolo anteriore/tamburo posteriore. Per tirare una riga finale, possiamo dire che la Z650 fu quella moto che, con due accortezze in più, poteva facilmente trasformarsi da tourer sportiva a peggior incubo delle concorrenti più blasonate. Il riferimento nostalgico riconduce dunque a quegli anni e a quell’esperienza. A cambiare, oggi, sono chiaramente i requisiti tecnologici: adeguati e adatti alle diverse necessità, pur nel rispetto della propria tradizione. Per questo abbiamo provato la Z650 RS, per sviscerarne i dettagli, le doti, i pregi, ma per rigore e fedeltà di cronaca, anche i difetti.

DUE COSE IN PIU’ DUE IN MENO 

Come già ribadito, la nuova Z650 RS è sorella strettissima della Z650 standard. Con questa condivide il propulsore, un bicilindrico parallelo da 649 cc (83 mm x 60 mm) raffreddato a liquido, con quattro valvole per cilindro e sistema di distribuzione DOHC. Due cilindri in meno e due valvole in più della sua antenata, con “medesimo” sistema di distribuzione. In numeri: 68 CV a 8.000 giri/min 64 Nm a 6.700 giri/min per 187 kg in ordine di marcia. A livello ciclistico siamo letteralmente su un altro pianeta rispetto alla progenitrice: telaio a traliccio in acciaio; forcella da 41 mm e un mono regolabile nel precarico; doppio disco anteriore semiflottante da 300 mm con pinza a due pistoncini e a disco singolo da 220 mm al posteriore con pinza monopompante. Se il comparto freni è sorvegliato dall’ABS, la tecnologia viene meno laddove può essere evitata: il display TFT della Z standard lascia spazio ai due evocativi quadranti analogici, con un più risicato (ma leggibile) LCD centrale.

LE COMODE MOTO DI UNA VOLTA 

Nel traffico e tra le curve il binomio degli pneumatici 120/70 anteriore e 160/60 posteriore sui cerchi da 17” promette agilità e maneggevolezza. A voler ben vedere, anche quei 50 mm di minor interesse tra i perni ruota, rispetto alla sorella Z, potrebbero contribuire a enfatizzare questa sensazione. Ciò che si apprezza di questa RS, ancora prima di avviarla, è la maggior abitabilità rispetto alla più rannicchiata Z650 naked (quella moderna). Non è una moto per giganti, intendiamoci, ma la posizione è naturale per chi ha un’altezza compresa tra i 170 e 180 cm. Chi fosse invece più basso di statura, si può comunque avvalere della versione ribassata.

NON USATE LA FRUSTA 

In viaggio, la nostra RS si comporta egregiamente, lasciandosi guidare in punta di dita e mantenendo un assetto composto, anche spostandosi in coppia. Non teme le buche e le varie insidie dell’asfalto, le sospensioni svolgono sempre a dovere il loro compito assorbendo le asperità ma allo stesso tempo garantendo la stabilità: è necessario metterla davvero alla frusta, strizzando il generoso impianto frenante o affrontando sopra le righe sequenze di curve o di contropendenze, perché l’assetto possa patire qualche scompenso. Ma è naturale, la RS nasce per essere anzitutto comoda (ed è comoda), morbida, e piacevole da guidare. Anzi, reazioni sempre intuibili e permissive la rendono adatta a tutti i tipi di rider, dal neofita all’esperto, che si può divertire grazie a un motore fluido e dalla spinta lineare nel salire di giri, con una reazione pronta al comando e un ampio spettro di utilizzo. Non è il mezzo per la pista né quello delle grandi traversate, si colloca esattamente dove deve: nel segmento delle medie divertenti, fruibili nel quotidiano e, perché no, belle. In barba ai canoni, alle opinioni e pure ai futuristi a là Marinetti, che cestinerebbero qualunque cosa in quanto “passata”… Belle da gridarsi dentro ogni volta: nostalgia canaglia!

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