Quarantasette anni fa, sul circuito di  Monza, ci lasciava Renzo Pasolini, Ferro vi porta a conoscere meglio “Il Paso

DI Massimo Tamburelli ∞ foto archivio famiglia Pasolini, Massimo Tamburelli e Peppe Bartolotta

Con questa intervista esclusiva corredata da foto inedite provenienti dall’album privato della famiglia Pasolini, Ferro vi porta a conoscere meglio “Il Paso”, l’uomo che fu mito senza cercare i riflettori, una tigre in sella (e sul ring, da pugile amatore), ma dolcissimo con i suoi cari.

 

IL MITO DEL PASO
Nato a Rimini il 18 luglio 1938, figlio d’arte, Renzo Pasolini ha debuttato nel motocross alla fine degli Anni ‘50, per passare ben presto alla velocità. Dal 1964 al 1973 ha corso il campionato del mondo con Aermacchi, Benelli e Harley-Davidson, vincendo sei gran premi e conquistando il titolo di vicecampione mondiale della 350 con la Benelli nel 1968, e della 250 con l’Aermacchi nel 1972.

Il suo stile di guida, a quei tempi definito “scomposto” e fuori dai canoni (fu tra i primissimi a piegare allargando il ginocchio verso l’interno della curva), i suoi modi, il suo stile, il dualismo con Giacomo Agostini, hanno fatto breccia tra gli appassionati di ogni epoca.

Il 20 maggio 1973, sulla pista di Monza, cade mentre guida una performante Harley-Davidson che gli avrebbe probabilmente permesso di puntare al titolo. La caduta coinvolge otto piloti; Pasolini e l’amico-rivale, il finlandese Jarno Saarinen, perdono tragicamente la vita.

 

UNA STORIA DI FAMIGLIA

Insieme a Stefano Renzo, suo figlio, e ad Anna Maria Girometti, sua moglie, abbiamo rivissuto momenti speciali della vita di un grande protagonista del motomondiale.

Mio marito era uno come noi, spontaneo, schietto. Non ha mai voluto essere un divo, anzi sfuggiva questo appellativo perché correva per la sua passione – racconta la signora Anna Maria Girometti, moglie di Renzo Pasolini – e teneva ben separate le sue corse dalla famiglia.

 

Io andavo raramente a vederlo perché avevo paura”. Nata in Sardegna da genitori romagnoli, Anna Maria conobbe Renzo mentre lui era a fare il servizio militare a Cagliari: “Mio padre era un ufficiale dell’esercito di stanza nel capoluogo sardo – ricorda – e i nostri genitori si conoscevano. Così, quando lui arrivò sull’isola, ci siamo a nostra volta conosciuti, anche se da piccolissimi ci eravamo già incrociati in Romagna”.

In un’epoca in cui il mondiale di velocità non si spostava sui grandi motorhome e lo showbusiness non esisteva, la vita del pilota e della sua famiglia era più complicata.

Per i più, fare il pilota significava gareggiare la domenica e andare in officina il lunedì, a lavorare nell’azienda che ti forniva le moto a fianco dei meccanici. Così faceva Renzo Pasolini in Benelli e in Aermacchi, negli anni splendenti della sua carriera troncata troppo presto, da un incidente di gara in quel maledetto 20 maggio 1973.

Il Paso era un buon tecnico, sapeva in tutti i sensi come far andare veloce la moto, anche se molte volte fu sfortunato nello sviluppo dei suoi ferri da corsa, e si allenava molto in palestra.

Renzo imparò fin da piccolo l’arte delle due ruote perché la motocicletta era di casa: nell’officina di suo padre Massimo (anch’egli pilota) prese vita nel secondo dopoguerra il Cigno 125. Progettato in collaborazione con l’ingegner Lino Tonti, lo scooter, che oggi definiremmo “a ruota alta”, fu esposto per la prima volta alla Fiera Campionaria al Grand Hotel di Rimini e fu successivamente messo in produzione dalla varesina Aermacchi, venendo proposto come alternativa al Moto Guzzi Galletto. Fu proprio in quel periodo che Massimo e Renzo, padre e figlio, si trasferirono dalla riviera romagnola a Varese.

Dalla collaborazione Tonti-Pasolini nacquero altre moto interessanti, come il siluro giallo Aermacchi battezzato LinTo che conquistò i record di velocità per le cilindrate 50 e 75. Si narra che nel 1956 il LinTo 75, lanciato sull’Autostrada dei Laghi nel tratto da Legnano a Castellanza, riuscì a conquistare il record (benché disturbato da un fastidioso vento laterale) sia sul miglio sia sul chilometro!

Si capisce come, tramandata di generazione in generazione, la febbre della velocità possa essere arrivata al leggendario Renzo. “Io però l’ho sempre considerato come un marito che andava normalmente al lavoro – continua la signora Anna Maria – perché anche lui voleva fosse così: a volte tornava con qualche preoccupazione, magari la moto che non andava come avrebbe voluto, ma non parlava molto di queste cose. Io non frequentavo tanto l’ambiente delle corse; conoscevo poco Milani, Agostini, Bergamonti e tutti coloro che di mio marito erano rivali in pista, ma comunque amici una volta scesi di sella.

 

 

Però c’erano anche i tanti momenti fuori dalle corse, con gli amici non corridori, con la famiglia: Renzo era un romagnolo schietto, stava in compagnia, gli piaceva ogni tanto giocare a carte, tirare un po’ tardi quando poteva, divertirsi insomma. E stare con Sabrina e Stefano, i suoi figli”.

 

 

Era ironico il Paso, sapeva scherzare, come con quei due grossi occhi tipo cartoon appiccicati sul casco a scodella: “Era costretto a correre con gli occhiali e questo sembrava un po’ strano per un pilota”, ricorda Stefano Renzo, il secondogenito. “Proprio per ironizzare su questa necessità aveva messo sul casco questi due occhi in più. Quattr’occhi… più due: sei in tutto. Così, scherzando, affermava di vedere meglio le traiettorie”.

Stefano Renzo Pasolini ha quarantasette anni e lavora in MV Agusta; corre le gare in salita e si diverte con le moto d’epoca, anche se è salito in sella molto tardi:

“Dopo la scomparsa di mio padre, in famiglia la moto diventò un tabù. A me sono sempre piaciute, credo sia normale e ovvio avere nel dna questa passione che è la storia stessa della mia famiglia. Inizialmente ero costretto a nascondere la moto a casa degli amici. Mia madre non ha mai voluto saperne. Ma deve stare tranquilla perché sono prudente, per me è solo divertimento”.

Stefano aveva due anni e mezzo nel 1973, quando accadde la tragedia di Monza: “Non ho avuto il tempo per conoscere mio padre davvero.  La mamma mi ha raccontato molto di lui fuori dalle piste; per quanto riguarda il pilota, sono sempre alla ricerca di racconti, aneddoti… ancora oggi scopro cose nuove, sul web cerco foto e notizie che non ho! Portare il suo nome è una bella responsabilità: inizialmente mi pesava un po’, soprattutto quando salivo in sella in occasione delle rievocazioni storiche, ma poi ci ho fatto l’abitudine.Vado in moto per passione e in fondo era così anche per lui; certo non con gli stessi risultati ma non ha importanza”.

 

 

Nella rievocazione della Targa Florio Motociclistica del novembre scorso, Stefano Renzo Pasolini è salito per la prima volta su un ferro davvero speciale: la Harley-Davidson 750 usata da suo padre in America. In alcuni scatti fotografici l’impressionante somiglianza nei lineamenti e nella mimica ha emozionato tanti appassionati presenti all’evento siciliano.

Sotto quel casco jet, veramente simile a quello che il campione utilizzò sempre, anche quando gli integrali erano ormai diffusi, in molti hanno rivisto, attraverso il figlio, proprio lui, il Paso.

Usare quella moto, sulla quale non ero mai salito, mi ha fatto battere il cuore”. Forse perché la leggenda è scritta nel dna.