QUESTO TRIBUTO ALL’AQUILA DI MANDELLO VIENE DA LONDRA, MA LE SUE LINEE REALIZZATE CON PRECISIONE D’ALTA OROLOGERIA PARLANO IL LINGUAGGIO INTERNAZIONALE DELL’ARTE MOTOCICLISTICA

DI RICCARDO CASARINI • foto IVO IVANOV

Già lo immaginiamo: un redivivo F.T. Marinetti che cammina attorno alla Airforce, torcendo i baffi corvini a manubrio mentre ne scruta attentamente le forme. Non nella Milano Anni ’20, ma nella moderna Londra, dove la crew di Death Machines of London, guidata dal designer James Hilton e dal capotecnico Ray Petty, sforna progetti notevoli da un paio d’anni a questa parte.

Siamo certi che l’opera del brand inglese avrebbe destato la curiosità del grande futurista. E parliamo propriamente di opera, perché questa moto è nata come tributo a un altro talento italiano, contemporaneo del Marinetti e contagiato egli stesso dal demone della velocità: Giovanni Ravelli, aviatore pluridecorato.

Il nome non vi suggerisce nulla? Vi basti sapere che l’aquila dello storico marchio Moto Guzzi comparve proprio per ricordarlo. Se l’11 agosto 1919 il suo Nieuport 11 non si fosse schiantato per avaria nella base navale di San Nicoletto, infatti, Ravelli avrebbe fondato insieme a Carlo Guzzi e Giorgio Parodi la “Società Anonima Moto Guzzi”.

 

Per omaggiarne la figura a 130 anni dalla nascita, Dmol ha dunque creato la Airforce. La base del progetto è una Moto Guzzi, per la precisione una Le Mans II, la sport tourer lanciata sul mercato sul finire degli Anni ’70: il ferro giusto da spogliare.

Messe in soffitta le semicarene, il nudo telaio Tonti ha offerto le sue geometrie uniche al mastro artigiano di Death Machines, che ci ha lavorato su secondo la vecchia scuola: uno scheletro in legno sul quale modellare le lastre, poi battute e curvate alla ruota inglese, infine spazzolate. Una lavorazione cruda com’era in uso nell’aereonautica di un tempo, roba da bombardiere della Grande Guerra. “La maggior parte delle decisioni sono state prese chiedendoci: cosa avrebbe fatto Giovanni?”, dice James, spiegando come è stato guidato l’intero progetto.

Con questo spirito i ragazzi di Dmol hanno messo mano a motore e ciclistica: dopo una revisione tradizionale del blocco e della termica, sono state montate nuove teste riflussate, alimentate dai carburatori Dell’Orto da 36mm con tromboncini artigianali.

 

A livello dinamico, si è invece attinto da altri marchi italiani, usando piastre Cagiva riadattate per ospitare la forcella di derivazione Aprilia RS250, con molle e steli modificati. Ma qui di italiano non c’è solo buona parte della componentistica, perché il nostro connazionale Max Vannoni, senior fabricator di Death Machines, ci ha messo il suo zampino. È poi finito su qualche scaffale anche il doppio ammortizzatore, perché ora è montato il forcellone rinforzato con capriata della sorella California, accoppiato a un bel mono Hagon.

È evidente che la Airforce non verrà utilizzata per staccate al limite, con il posteriore a due dita dall’asfalto, ma Vannoni e soci hanno scelto delle pinze Brembo ricavate dal pieno con quattro pistoncini, spinti da una pompa Brembo Rcs per mordere i dischi in acciaio da 300mm creati appositamente da Dmol.

 

 

I dischi non sono però l’unica cosa che Death Machines of London produce internamente, perché il team inglese sa spaziare dai martelli e tassi da battilastra ai macchinari a controllo numerico con grande abilità. Concentrandoci sui dettagli della Airforce notiamo subito la qualità dei semimanubri, sui quali è montato il comando del gas interno e le leve inverse in alluminio aeronautico, denominate Lever Type IN01.

Anche i comandi a pedale sono ricavati dal pieno, fatta eccezione per il rinvio del cambio, uno Stucchi modificato ad hoc. È possibile andare ancora più di fino?

Eccome, basta un’occhiata alla strumentazione per scoprire un lavoro certosino da oreficeria: il quadrante è ottenuto per microincisione su argento e ottone, con illuminazione led a intensità regolabile. Ora immaginiamo di infilare la chiave nel blocchetto, girare verso destra e… stop.

 

Sulla Airforce può essere prevista una chiave tradizionale per l’avviamento? Ci risponde James: “Ci siamo divertiti pensando che se i Foo Figthers fossero esistiti a quell’epoca, Giovanni sarebbe diventato un loro fan. Così abbiamo affidato l’accensione a un jack per chitarra con sensore integrato.

Perché no?”. Già, perché no?

Questa moto è innanzitutto la dedica di un gruppo d’appassionati e non c’è miglior modo di pensare un omaggio, se non con estro e creatività. Come per il motivo della sella rivestita in pelle italiana, studiato per suggerire l’idea del movimento vorticoso dell’aria.

Una particolarità che vuole esaltare, se mai ce ne fosse bisogno, la potenza del concetto: Velocità! La forma affusolata, la pulizia complessiva e la ricercatezza di ogni singolo dettaglio avrebbero fatto di questo esemplare il sogno erotico di qualsiasi ribelle futurista.

I motori a scoppio e i pneumatici d’un automobile sono divini. Le biciclette e le motociclette sono divine. La benzina è divina. Estasi religiosa che ispirano le centocavalli. Gioia di passare dalla 3ª alla 4ª velocità”, scriveva Marinetti nel 1916, arrivando a sostenere che “correre a grande velocità è una preghiera”. Direbbe lo stesso oggi, camminando intorno alla Airforce.

E proprio questo era l’approccio di tanti pionieri del volo, quale fu Giovanni Ravelli che, sfortunatamente, non riuscì a concretizzare il sogno di correre come pilota e testimonial sulle prime Moto Guzzi. Certamente James Hilton e il team di Death Machines Of London hanno riversato tanta passione in questo progetto, lo dimostra il lavoro di correzione e perfezionamento eseguito: “Come mai aspettare così tanto per raccontare la sua storia?  Perché poteva essere migliorata.

Avremmo potuto lasciare alcuni dettagli così com’erano e nessun altro oltre a noi avrebbe notato la differenza. Sarebbe stato molto più semplice non rifare il puntale o non ricostruire completamente le leve, ma non avremmo soddisfatto il nostro ideale di perfezione.

 Sì, sarebbe stato più facile. Ma come Ravelli sapeva, la moderazione raramente passa alla storia”.

È anche grazie a questo stesso spirito votato all’azzardo che il tributo è riuscito nel migliore dei modi. Built in England for Giovanni Ravelli. Suona bene, lui lo avrebbe apprezzato.