I motori hanno catalizzato la mia vita catturandomi fin da bambino, quando sono salito per la prima volta sul triciclo. Che poi non aveva neanche il motore. Quello è arrivato dopo e da allora, fin dal primo motorino, le mie giornate sono state occupate dalle due ruote a motore. 
Maurizio Bombarda

 

Reparti Corse ed Engineering
Il motorino per noi quattordicenni era sinonimo di indipendenza. Ma ci faceva anche sognare: a Modena eravamo in molti a guardare i grandi con le moto vere, e noi non vedevamo l’ora di arrivarci. Nell’attesa ci siamo dati da fare.
Eravamo attrezzati bene: nei nostri vari e rivali Reparti Corse – i più fortunati li avevano allestiti in garage, gli altri in cantina – le più forti squadre di engineering del Paese sperimentavano soluzioni all’avanguardia per ottenere la massima prestazione in gara. Il Bombarda Engineering & Racing era formato solo da me, più un codazzo di amici; altri team erano composti da due o tre persone. I privilegiati facevano capo a un concessionario.

Per i nostri mezzi da gara avevamo sempre pronte tre o quattro configurazioni, che erano applicate sullo stesso motorino a seconda del tipo di competizione. C’era di tutto, Ciao, Bravo e Boxer in particolare, ma anche motorini di ogni provenienza e marca. Purché economici e con la “presa diretta”, per la facilità dell’elaborazione e soprattutto per i bassi costi da sostenere per sperimentare le nuove tecnologie. 

Occorreva essere sempre pronti, perché a volte i Gran Premi nascevano da una discussione e il via era due ore dopo. C’era però anche un calendario preciso per gli eventi straordinari, come per esempio la Modena-Vignola-Modena. Ci si dava appuntamento in un posto, uno grande con la macchina andava nel punto più lontano per verificare il passaggio e poi si partiva. Le regole erano molto rigide: si svolgevano tutte su strade rigorosamente aperte al traffico e valeva tutto; quindi, se trovavi una scorciatoia, bene.

Sempre nel massimo rispetto dell’illegalità
Le nostre gare si svolgevano sempre nel massimo rispetto d’illegalità. Ricordo però una nobile eccezione: col patrocinio del Comune di Modena l’omonimo Moto Club organizzò, nell’ex autodromo, una manifestazione all’insegna del risparmio del carburante per sensibilizzare i ragazzi sulle tematiche energetiche e ambientali.
Ci consegnarono la benzina razionata in flaconi trasparenti sigillati, con l’intento di valutare i consumi a fine gara. Il regolamento era rigidissimo ma noi non ci perdemmo d’animo e ne adottammo tacitamente un altro, più semplice: “Vince chi va più forte”.

E il consumo del carburante? Un dettaglio ininfluente, tanto alla fine nessuno venne a misurarlo, e comunque la benzina che ci diedero bastava per la gara. E nel dubbio che non bastasse ne avevamo aggiunta un po’ prima della partenza siringando i serbatoi sigillati. Ti beccavano solo se invece di qualche decilitro ne aggiungevi un litro; a volte capitava.

Ecco come si installava il serbatoio con il carburante misurato per la gara.


Paolone squalificato
Il Negrini Gioietta di Paolone era stato preparato dall’engineering concorrente, che adottò una tattica alternativa. Il flacone consegnato dall’organizzazione era applicato sul motorino con lo scotch da pacchi, in genere accanto al serbatoio originale; i commissari verificavano solo che non ci fosse alcun raccordo a T tra i tubi di alimentazione dei due serbatoi. La benzina contenuta nel flacone ufficiale, che era trasparente, occupava circa metà del volume totale, quindi se aggiungevi siringando qualche decilitro, tanto per sicurezza, nessuno se ne accorgeva. Paolone però si presentò alla partenza col flacone (trasparente) pieno fino all’orlo. Fu immediatamente squalificato. Scelta dura ma giusta, e comunque ininfluente per il Campionato date le scarse doti del Gioietta, che oltre a essere lento era equipaggiato con un improbabile carburatore da 24 e beveva come un lavello.

Il numero 22 è Paolone, con il Negrini Gioietta; in primo piano il pilota Gianluca Righetti con la GP preparata dalla Bombarda Engineering & Racing, con la carenatura e il manubrio aerodinamico.

 

Le ali della MotoGP? Bastava chiedere
In quella gara le varie Engineering ricorsero, oltre alle sofisticate elaborazioni motoristiche, anche a complessi studi aerodinamici con relativa analisi dei flussi con avanguardistici sistemi di progettazione (fogli a quadretti di terza) e successive verifiche strumentali di cui vi parlerò.
In tema di aerodinamica eravamo all’avanguardia: già si prendeva in considerazione il pilota a bordo mettendo a punto una postura filante, sdraiati sul motorino con la mano sinistra a stringere lo stelo della forcella, posizione da mantenere per tutto il giro a esclusione di un paio di curve strette; i più arditi restavano sdraiati anche nella esse del circuito e nel successivo ingresso del curvone che immetteva sul rettilineo più lungo. Guidare così non era facile, nascevano problemi di shimmy, di chattering, ma si faceva.
Quando qualche dozzina d’anni dopo la Ducati MotoGP iniziò per prima gli studi nella galleria del vento noi sorridevamo. Sapevamo già tutto.

Si studiava anche il sistema per guadagnare potenza creando una sovrapressione nel carburatore con dei convogliatori che facevano arrivare più aria fresca, ovviamente senza inficiare l’aerodinamica. Anche questi progetti sono stati ripresi solo molti anni dopo dalle case giapponesi, sia nelle GP, sia nelle moto di serie. È storia.

Bombarda nella semifinale in lotta con la moto (vera) del team Villa.

La sicurezza prima di tutto
Anche gli organizzatori delle gare erano all’avanguardia, anticipando i sofisticati sistemi di rilevazione delle prestazioni, in particolare della velocità, e applicando i primi rudimenti di telemetria, gli stessi che poi sarebbero stati introdotti solo molti anni dopo nelle competizioni vere.
La velocità dei nostri mezzi, 110 all’ora, fu sempre certificata dal contachilometri ufficiale della Fiat 128 quattro porte verde di un amico organizzatore che ci affiancava durante la gara incurante delle bagarre. La sicurezza prima di tutto.

Quell’attrezzatura serviva anche nella messa a punto dei prototipi. Nella semifinale ero deluso dal fatto che il mio motore non prendesse tutti i giri come avveniva nei test pregara senza la carenatura; c’era la finale, dovevo giocarmi il tutto per tutto, e così tolsi le appendici aerodinamiche. Il Bombarda Engineering & Racing l’aveva azzeccata, guadagnai 5-6 chilometri, risultato certificato dalla Fiat 128 verde: Top Speed 115-116 km/h. 

Il costo della sperimentazione
Oggi sappiamo che la ricerca esasperata delle prestazioni non sempre in pista dà gli stessi risultati, ma noi eravamo pionieri e scoprimmo a nostre spese che la sperimentazione spinta può portare fuori strada.
Forse avevamo fatto un errore: la soluzione aerodinamica adottata era infatti stata studiata per ottenere più downforce in curva che velocità sul rettilineo, e questa configurazione avrebbe dato risultati più utili a Montecarlo, sullo stretto, ma in una pista molto veloce come Modena non andava bene, il carico aerodinamico era eccessivo.

Scansati da in mezzo la curva!
Non sapevamo cosa fosse la telemetria, ma abbiamo poi scoperto che già allora ne facevamo largo uso. Oltre ai rilevamenti strumentali, le auto d’appoggio degli amici più grandi servivano per le comunicazioni tra il pilota e il box (cioè l’auto), che avvenivano a voce. Ecco qualche esempio di gergo tecnico: “Come va?”; “Tirami la scia”; “Stai all’esterno!”; “Scansati da in mezzo la curva” e così via. Sempre nella massima sicurezza. 

Tutto a Codice. Quasi
Tra un gran premio e l’altro i mezzi riprendevano la configurazione stradale a Codice. Be’, quasi a Codice. Anche noi inizialmente ci siamo impegnati molto a guidare secondo le regole, ma gli eventi ci remavano contro. Il Moto Club era dall’altra parte di Modena e ci si annoiava a raggiungerlo a 60-70 all’ora e così, in gruppo, si faceva tutta la strada (o meglio il marciapiede, che era più bello perché si andava su e giù nei passi carrabili) in impennata, cercando di trovare la velocità giusta per beccare i semafori col verde e passarli senza metter giù la ruota davanti. Il regolamento non consentiva di appoggiare i piedi, fatta eccezione per due o tre curve strettissime in cui era tollerato.

A 60-70 all’ora ci si annoiava, e così, in gruppo, si faceva tutta la strada in impennata.


Modena fucina di campioni
A qualcuno interesserà sapere che in questa gara debuttò in pista un anonimo giovanotto, un certo Luca, di cui avremmo poi sentito parlare in ambito motociclistico. Non fosse altro che per il fatto che Cadalora vinse tre mondiali, uno nella 125 e due nella 250, sfiorando il trittico di classi piazzandosi a un soffio dal titolo in 500.

Passioni. Cose così.