Nel 1948 Giuseppe Benelli, in contrasto con i fratelli, lascia la direzione della Benelli e inizia una propria attività, sempre a Pesaro, alla quale dà il nome MotoBi. Giuseppe è un vulcano di idee e nel ’50, tra i vari progetti, concepisce un particolare motore bicilindrico a due tempi di 200 cc fatto a uovo, che nel 1953 equipaggia la Spring Lasting. Un anno dopo affida al geniale tecnico Piero Prampolini il compito di trasformarlo in quattro tempi e di declinarlo in due cilindrate, 125 e 175 cc. Prampolini prepara anche una versione da corsa che nel 1955 vince alcune gare, nei circuiti cittadini di allora, e si piazza ai primi cinque posti della massacrante maratona Milano-Taranto del 1955.
Due anni dopo Giuseppe Benelli muore, l’azienda passa ai figli Luigi e Marco e continuano i successi nelle competizioni delle monocilindriche che nascono nel reparto corse, nel frattempo affidato a Primo Zanzani, figura leggendaria della storia del motociclismo pesarese. 

Noi partiamo da qui, dove la storia di Zanzani si intreccia con quella del motore a uovo: ce la narrano i figli di Primo – Ivan, Athos e Mirko – che oggi fanno rivivere quello straordinario motore, non solo qui sul sito di Ferro ma anche nella loro officina pesarese, dove realizzano splendide repliche evoluzione di quelle moto da corsa rese vittoriose dal padre.

L’attuale MotoBi replica

Pilota e preparatore
Durante la guerra – partiamo da qui ma state tranquilli: facciamo una sintesi sennò salterebbe fuori un’enciclopedia – Primo Zanzani inizia a lavorare alla Caproni costruendo parti speciali per aerei: corre in bicicletta da Forlì a Predappio tutte le mattine, caldo, freddo, pioggia, neve; la sera torna a casa per frequentare l’Istituto Tecnico Aeronautico di Forlì. Dopo il diploma inizia a far la manutenzione ai caccia tedeschi.
All’epoca non c’era tanta scelta: o lavoravi o ti spedivano in Germania, e non si sapeva bene che fine avresti fatto. Aleggiava insomma un clima molto piacevole, di reciproca stima e fiducia: pronto l’aereo il pilota faceva salire il meccanico per il giro di collaudo, per essere sicuro che avesse stretto bene tutti i bulloni. 

Finita la guerra Primo Zanzani inizia a lavorare sulle moto, quelle militari rimaste abbandonate in Italia, le aggiusta, le modifica e inizia così la sua carriera di preparatore e pilota. Primo va forte in gara con la sua Laverda 100 – marchio del quale nel frattempo è diventato concessionario a Forlì – ma più per le sue doti di preparatore che di pilota: le sue moto devono vedersela con le 125 pesaresi MotoBi di Benito Mariani, Cristoforo Fattori, e di un certo Tartarini. E le battono: le sue Laverda vanno così forte che la MotoBi lo nota, e nel 1957 Giuseppe Benelli lo chiama a Pesaro per affidargli il reparto corse. 

Primo Zanzani, primo classificato in sella alla sua Laverda 100 cc

Nasce il reparto corse MotoBi
Marco Benelli punta alle vendite, ma da buon imprenditore sa che le gare portano lustro al marchio. Investe quindi nel reparto corse, dotandolo di tutto ciò che offre la tecnologia di allora: un tavolo da disegno, una calcolatrice elettromeccanica, un banco prova Borghi & Saveri, e le attrezzature necessarie alla preparazione delle moto. Manca ancora una cosa.
Quando Zanzani arriva alla MotoBi la 250 da gara ha 16 CV a 9.000 giri e se la gioca a fatica contro le Ducati, Aermacchi, Moto Morini e Parilla. La prima cosa che fa, e che ha in mente da tempo, è prendere una macchina per rettificare gli alberi a camme, il cuore del quattro tempi. Parte dai profili di quelle che aveva fatto a mano per le piccole Laverda, le usa come copia e le battezza C2. Poi passa a rivedere la testa, le valvole e lo scarico, tutto va raccordato al nuovo diagramma. Dopo le prime prove il C2 viene accantonato e nasce il mitico C3: è il 1959, l’inizio della nuova carriera agonistica del motore a uovo, che ora eroga 24 CV a 10.000 giri.

Oggi quella macchina delle camme è ancora in attività a Pesaro.

Il tavolo da lavoro di Zanzani a Pesaro.

La rappacificazione con la Benelli
Nel 1962 la MotoBi si riunifica con la Benelli e per tre anni Zanzani passa al reparto corse della Benelli: il 4 cilindri 250 di Tarquinio Provini ha bisogno di una revisione, gira molto ma non spinge. Zanzani riprende i profili del famoso albero a camme dell’uovo e si compie la magia, il 4 cilindri spinge fortissimo; la modifica però viene tenuta segreta anche a Provini. Alla prima prova del nuovo motore Tarquinio arriva al circuito di Modena con il morale sotto i tacchi. È la pista del vecchio aeroporto, lenta e tortuosa, per nulla adatta al 4 cilindri Benelli nato per gli allunghi e le piste veloci. Provini per il nervoso ci dà dentro più del solito, ma ha una sorpresa: al tornantino si gira e vola in terra. Sbalordito ma felice: finalmente il motore c’è.

Provini sulla pista Benelli con la 4 cilindri.

1964 La Benelli a Daytona
Con la cura Zanzani, albero a camme e diverse migliorie, il 250 Benelli vola ma ha un problema di lubrificazione dei cilindri centrali: l’olio passa al centro nell’albero motore, esce dal primo foro, quello che serve per lubrificare i cilindri esterni, ma poi la forza centrifuga lo spinge fuori quasi tutto da lì, lasciando a secco i cilindri centrali. Primo voleva rifare il blocco motore con le gallerie di lubrificazione per ogni cilindro separatamente, ma Giovanni Benelli è contrario a questa soluzione, fa montare una pompa più potente e la squadra Benelli parte per Daytona con Tarquinio Provini. 

Il circuito è molto veloce, sul lungo rettilineo il motore resta in tiro molti secondi stressando l’albero motore, che dura solo pochi giri. Zanzani è costretto a cambiarne tre lavorando sul banco di un fast food, allora non c’erano le attrezzature di oggi, un lavoraccio, e pure inutile: nonostante gli sforzi il motore continua a rompere e Provini non riesce a correre. 

Zanzani torna a Pesaro con un diavolo per capello e va da Giovanni Benelli che gli risponde secco: “Il padrone sono io e si fa come dico io”. In risposta Primo prende una scatola di cerini e la butta sul tavolo: “Allora dagli fuoco, a quella moto”. E così finisce l’avventura Benelli di Zanzani.

Provini su Benelli

Nasce il Sei Tiranti
Nel 1964, conclusa l’esperienza Benelli, Zanzani prende contatto con l’Aermacchi, ma Marco Benelli lo richiama subito alla MotoBi, ha un progetto ben preciso: rifare il motore a uovo di cilindrata 250 piena. Questo perché dopo cinque anni di sviluppo il 250 si ferma a 32 CV a 10.500 giri e non si riesce ad andare oltre per via dei limiti dovuti al fatto che è ottenuto maggiorando il 175. Il cilindro è dimensionato per l’alesaggio originale, da 62 mm, lo spazio sulla testa è quello, le valvole e i condotti del 175 non permettono di metter su un carburatore più grande del 32. Il pistone da 74 mm, montato per arrivare ai 250 cc, ha poi uno squish esagerato e una cupola piccola piccola: quel motore ha già dato tutto quello che poteva, occorre trovare una soluzione, ma la situazione è difficile. 

A quei tempi si corre ogni domenica, spesso in salita, con tre cilindrate, ed è un impegno molto gravoso per la piccola fabbrica pesarese, che oltre a sviluppare le moto da corsa deve far quadrare i conti: fare un motore tutto nuovo sarebbe un passo azzardato.
Ma serve un salto di qualità, e Zanzani, allora spalleggiato da Marco Benelli, riesce a cambiare marcia e prepara un motore più evoluto, partendo alla grande: testa emisferica di diametro pieno, valvole adeguate, carburatore da 35, biella ricavata dal pieno, pistone a cupola alta con grossi incavi per le valvole. Per finire progetta un imbiellaggio più robusto e i carter fusi in terra, più larghi e rigidi, e sabbiati grezzi. Infine, e soprattutto, occorre che i tiranti della testa non si rompano, un guaio che spesso capita al 250. La soluzione? Metterne due in più, disposti a esagono, in acciaio speciale: ora c’è tutto quello che serve per vincere, è nato il 250 6 tiranti. 

Purtroppo questo motore non è stato industrializzato, sono state solo costruite poche moto, spedite in USA per saggiare il mercato, e il progetto non ha avuto seguito. In compenso ha una bella carriera agonistica. 

Una MotoBi in lavorazione.

Batte la Benelli 4 cilindri
Debutta nel 1966 proprio contro la Benelli 4 cilindri di Provini. La gara inizia molto bene per la MotoBi guidata da Amilcare Ballestrieri, che rifila un secondo e mezzo al giro a Provini. Come mai un semplice mono è molto più veloce di un prototipo GP a quattro cilindri? Perché l’allora pista di Modena, quella dell’aeroporto, è molto tortuosa, perfetta per una moto agile e leggera come la MotoBi, con il motore prontissimo in basso, ma ostica per la Benelli, nata per le piste più veloci. Sarebbe una bella rivincita per la MotoBi, ma a pochi giri dalla fine si rompe un piccolo componente, l’alberino dell’anticipo, e la moto di Ballestrieri si spegne. Vince Provini ma per la Benelli è una bella lezione. 

In quel periodo il 250 Sei Tiranti è costruito con le macchine utensili dello stabilimento della Benelli, e da quella gara Giovanni Benelli pone il veto a quelle commesse, farsi battere con motori fatti in casa propria non se ne parla nemmeno e così la MotoBi è costretta a trovarsi un altro fornitore. 

Il tavolo da disegno di Zanzani

Forte anche sul veloce
Dice Ivan: “A cena mio padre parlava del 6 tiranti; dopo cena, ascoltando la radio, pensava come migliorarlo, riguardava i condotti, le camme, i disegni del cambio, che non reggeva la maggiore potenza e andava rivisto. Io tenevo conto delle modifiche che pensava di volta in volta e anche delle numerose vittorie. A volte le vedevo dal vivo, quando era possibile mio padre mi portava alle corse, altrimenti le seguivo sui giornali e ne conservavo i ritagli, correvano piloti come Amilcare Balestrieri, Silvano Bertarelli, Roberto Gallina, Paolo Isnardi… Anche Renzo Pasolini provò il Sei Tiranti e lo avrebbe voluto per i circuiti guidati in alternativa al 4 cilindri, dove era molto più agile e veloce. Ma dopo Daytona era finita la tregua tra Benelli e MotoBi, e il Paso era sotto contratto con la Benelli e poteva correre solo con quella, figuriamoci con peggior rivale, la MotoBi. C’è da dire che il Sei Tiranti era veloce anche in altri circuiti, Pasolini l’ha provato a Vallelunga, all’epoca c’era solo il lungo che non è certo un circuito lento, e ha fatto i migliori tempi proprio con il mono. Allora aveva 33 CV e pesava 90 kg, la Benelli era più potente ma anche ben più massiccia e pesante”.

C8: l’ultima evoluzione
Alla fine degli anni ’60 l’albero a camme arriva alla sua ultima evoluzione, si chiama C8. I CV sono 36 a 10.800 giri, con una coppia bestiale a partire dai 6.000 e un allungo fino a 11.500 giri senza problemi. Qualche pilota lo tira anche ai 12, ma questo Primo non deve saperlo, o sono guai.

La MotoBi conquista dei campionati italiani negli anni ’66, ’67 e ’69 oltre a vincere in un paio di lunghe trasferte in Argentina e in America con Silvano Bertarelli, che per prendere la licenza AMA diventa Sam Bertorel. Nel 1967 le MotoBi di Sam e degli americani Kurt Liebmann e Jess Thomas nel corto di Daytona finiscono davanti alle Yamaha 250 bicilindriche: fantastico! Poi le Yamaha fecero quello che fecero.

Color bomba
Le 125 erano grigio argento metallizzato chiaro, telaio rosso; le 175 nero/marrone (difficile dire il colore esatto, si faceva al momento), telaio rosso; le 250 storicamente sono state sempre grigio scuro opaco, anticipando così di cinquant’anni la tendenza di oggi delle vernici opache e anche del lettering, vista l’importanza della scritta MOTOBI sui lati della carena. Interessante la storia di questo colore, all’epoca lo stesso della Benelli 4 cilindri. In quegli anni fuori da un palazzo della città c’era l’ogiva di un gigantesco proiettile, allora si disse: “Facciamola di questo colore, sarà una bomba”. Una scelta modernissima e anche controcorrente per l’epoca, le moto da corsa erano rosse, dominavano infatti le Ducati, le MV Agusta. A proposito, dai racconti di Zanzani: il conte Boselli della Mondial, aveva fatto un bialbero 250 monocilindrico, ovviamente rossa. Il prototipo però non andava, e il conte Boselli sbottò: “Rossa l’è rossa, bialbero l’è bialbero, com’è che la va no?”.

Chiude il reparto corse MotoBi
Negli anni ’70 le cose prendono una brutta piega. Il mercato americano è conquistato dai giapponesi, le moto di Pesaro non reggono la concorrenza e gli importatori si rivolgono a oriente. In Italia non va molto meglio, comincia la crisi, nel 1972 De Tomaso acquista la Benelli e chiude entrambi i reparti corse.
Ma Zanzani non ci sta, rileva il reparto corse MotoBi e si mette in proprio in un’officina dall’altra parte della strada, e siccome nei locali non c’è abbastanza posto le “uova” finiscono tutte a casa Zanzani, perfino lo scantinato è pieno di motori, telai, forcelle, ammortizzatori, carburatori…

Zanzani offre assistenza alle moto dei privati, e tra questi c’è anche Paolo Pileri, ma l’avventura dura poco: le corse su strada vengono vietate, finisce un’epoca e le moto da corsa degli anni ’60-’70 vanno in pensione, poiché non sono competitive in pista. Molte restano abbandonate per anni nei sottoscala, altre sono rottamate, alcune finiscono nei musei.
Dopo aver spedito gli ultimi kit di trasformazione la domanda cala e c’è da far spazio alla nuova attività, costruire i freni a disco in alluminio. Primo decide di vendere a rottame tutto quello che era rimasto e a questo punto sembra che sul motore a uovo sia calato il sipario. 

L’uovo rinasce più forte che mai
Nel 1998 Mirko, navigando su Internet, scopre un gruppo di americani malati di nostalgia per le MotoBi e le Benelli degli anni ’70. Li contatta e vende loro due MotoBi Sei Tiranti per correre a Daytona 1999. Un dettaglio: le moto non esistono, occorre correre e ci sono solo otto mesi di tempo per prepararle da zero. Non ci sono più le fusioni e neanche i modelli per la fonderia, allora Mirko e Ivan cercano di convincere papà Primo a mettere su un motore di serie elaborato, ma non c’è niente da fare: “O per bene o niente” risponde. “Se vogliono un Sei Tiranti dobbiamo fare il vero Sei Tiranti, di brutte copie ce ne sono già troppe”.

Così i Zanzani recuperano i disegni, li trasformano al Cad in 3D e rifanno i modelli della testa, del cilindro, del carter…. tutto da capo, compresa la biella ricavata dal pieno. Si sfrutta tutta la tecnologia di oggi, studiando scientificamente le camme, i condotti, i flussi delle teste, simulando le prestazioni. Primo guarda, controlla, corregge, si arrabbia, poi tira fuori tutti gli appunti gelosamente conservati e si riparte: nasce il nuovo uovo Sei Tiranti. 

Ha le valvole più grandi, è rivisto nella testa, poi ci sono i nuovi carburatori speciali, l’accensione elettronica: vengono fuori altri 4-5 CV e così si arriva a circa 40. Sono state riviste anche le misure dell’alesaggio e della corsa, più corta: 78 x 52 mm, l’originale è 74 x 57 mm. Il regime però non aumenta; anzi, il vecchio girava a 11.500 mentre questo, che si voleva far arrivare a 12.000, a 11.000 mura e non ne vuole sapere di andare oltre, nemmeno cambiando l’anticipo, la carburazione, gli alberi a camme. Poco importa, però, perché ha mantenuto la sua caratteristica vincente, la coppia in basso; anzi, l’ha ulteriormente migliorata. 

Poi si mette mano anche alla ciclistica: il telaio, il classico trave centrale discendente a sezione rettangolare, si trova nell’usato; quindi ci sono i cerchi, le sospensioni di taglio classico ma di nuova tecnologia, la forcella tipo Ceriani con l’idraulica Andreani, le gomme in mescola, i freni a tamburo.

Mirko e Athos preparano di sana pianta le due Motobi-Zanzani Sei Tiranti Replica per correre a Daytona e finiscono di montarle il giorno prima di metterle sull’aereo per la Florida. Riescono solo a metterle in moto, niente prove al banco, non c’è tempo. Come andranno? Speriamo bene.

1999 il ritorno a Daytona

La moto va ancor meglio del previsto, è velocissima, si devono allungare più volte i rapporti, sull’ovale raggiunge i 225 km/h e la carenatura addirittura si deforma, Dave Roper fa il miglior tempo staccando tutti di due secondi. Purtroppo non riesce a fare il secondo turno, perché rompe il cambio. Si torna a casa ma la rabbia passa presto, le prestazioni sono incredibili e gli americani sono raggianti.

In officina si rifà il cambio in modo che tenga almeno una cinquantina di cavalli, si modifica anche la frizione e continua lo sviluppo. Le simulazioni al computer dicono che la camma C8 va benissimo ma si deve correggere la forma dei condotti, che adesso si lavorano con una macchina a controllo numerico. Con le ultime modifiche la potenza alla ruota arriva a 42 CV a 11.000 giri; niente male, trent’anni fa il Sei Tiranti ne faceva segnare 36.

La MotoBi a Daytona.

 Richieste in tutto il mondo
Arrivano altre ordinazioni, dall’Irlanda, dall’Olanda, dal Giappone e ancora dagli Stati Uniti, così si comincia con le corse della classe Epoca Gruppo 3 e Gruppo 5. La moto è nettamente la migliore, Pagnini, Prescendi e Pizzagalli non hanno problemi con gli avversari. Spesso viene sporto reclamo, gli altri piloti non si fidano ma i commissari trovano sempre tutto in regola. È talmente superiore che spesso se la gioca con le Ducati 450, e da qui nasce l’idea di realizzare un motore maggiorato per correre nella nuova classe libera fino a 500 cc. La corsa rimane a 57 mm, l’alesaggio passa da 74 a 84 mm e la cilindrata sale a 315 cc. Si monta un carburatore da 38 mm, mai visto su una MotoBi, e la potenza arriva a 51 CV, sempre a 11.000 giri. Ma i tempi sul giro rimangono inspiegabilmente gli stessi. Il punto è che la maggiore potenza mette sotto stress la ciclistica: Prescendi dice che la moto non si tiene, il forcellone flette e in piega non si riesce ad aprire il gas perché tende la moto ha un eccessivo sottosterzo e allarga. Allora Zanzani mette mano alla ciclistica, monta un forcellone scatolato, rivede l’avancorsa e la posizione delle pedane, in modo da caricare il peso più in avanti. I tempi scendono e le Ducati 450 stanno dietro. Rimangono da battere le Matchless G50 preparate in Inghilterra e la Paton 500 bicilindrica a 8 valvole, che è di un altro pianeta; quella a 4 valvole invece è alla portata.

Una MotoBi in gara in Giappone.

Fine del sogno
Tutto questo è durato fino al 2005-2006. È stato un bel periodo, con molti piloti che correvano con repliche delle moto di quegli anni, poi la Federazione ha introdotto delle limitazioni sull’età delle moto ed è finito tutto; oggi si va ai raduni, si fa qualche giro in pista ma non si corre più. Peccato.

La tuta e i caschi storici di Primo Zanzani.