Benelli 900 Sei

Icona del motorismo tricolore, la Benelli Sei si distinse raccogliendo tanti estimatori in giro per il mondo. Oggi parliamo della 900 Sei, evoluzione della 750, con quei sei cilindri in linea che rappresentarono una trovata inedita nel campo delle maxi. Un escamotage nato dal genio dell’allora proprietario del Marchio Alejandro De Tomaso, che tra gli anni ’70 e ’80 ha collezionato prestigiosi marchi italiani, Ghia, Vignale, Moto Guzzi, Innocenti, Maserati e appunto Benelli. 

Sono gli anni ’70, il mercato è dominato dalle 4 tempi plurifrazionate nipponiche, e per battere questo predominio De Tomaso attuò una strategia speculare a quella che portò proprio il Giappone sulla vetta del settore: essi si erano largamente “ispirati” alla migliore produzione occidentale, migliorandola, così De Tomaso decise di ispirarsi a sua volta alla prima della classe, la mitica Honda Four. 

Ma quello fu solo il primo passo, utile a colmare lo svantaggio; a questo seguì l’asso nella manica: il 6 cilindri in linea. Fino ad allora non si era mai visto su una moto di serie, e nel 1972 prese alla sprovvista il panorama motociclistico: a De Tomaso non difettavano certo l’intraprendenza e la capacità di portare interesse ai propri prodotti, anche se, a volte, le sue strategie andavano a discapito della visione industriale e commerciale a lungo termine.

Lo sforzo sovrumano richiesto per passare dal concept alla produzione portò ad accumulare considerevoli ritardi alla Benelli, cosicché la concorrenza ebbe il tempo per passare al contrattacco. Mentre i tecnici pesaresi erano impegnati a risolvere i numerosi problemi di gioventù della 750 Sei, nel 1976 la Honda iniziò a lavorare su una nuova maggiorata, la mastodontica CBX 1000. 

A quel punto fu chiaro che la 750 non sarebbe stata sufficiente a contrastare i giapponesi, e la Benelli reagì nella maniera più tempestiva possibile: al Salone di Milano del 1977 presentò la 900 Sei. 

Il nuovo motore, sempre progettato dall’ingegner Prampolini, il nuovo 900 cc eroga 80 CV a oltre 8.000 giri. Purtroppo lo sforzo non fu sufficiente: il gap rispetto alla maxi di Tokyo era cospicuo, la CBX era accreditata di ben 105 cavalli a 9.000 giri grazie a un motore di 1.047 cc (contro i 906 della Benelli), al doppio albero a camme in testa (contro 1), e ai sei carburatori (contro tre). 

Vista l’impossibilità di competere nelle prestazioni, la Benelli decide di giocarsi il tutto per tutto disegnando una linea altamente distintiva, innovativa. Fin troppo per i gusti dell’epoca? Probabile, perché non riscosse particolari apprezzamenti. Oggi invece la troviamo ancora bella e attuale: l’integrazione in un’unica linea che comprende il serbatoio, le fiancatine e il codino la rende moderna e innovativa, tanto che potrebbe rappresentare un’ottima ispirazione per una naked contemporanea. 

Con soli 1808 esemplari prodotti la Benelli è ben più rara delle maxi giapponesi, fattore che ne accresce il fascino. In più c’è la vetrina del made in Italy, grazie alla scelta di De Tomaso di dare fiducia alle nostre aziende: i freni a disco sono dell’allora giovane Brembo, con sistema integrale; la strumentazione è Veglia; la forcella Marzocchi; gli ammortizzatori Ceriani; i cerchi Campagnolo; gli scarichi Silentium.

Questo esemplare è un prima serie, risale al 1979, ed è di proprietà di Edoardo Repetto della Red Trade (società che acquista, vende e permuta auto e moto d’epoca di alta gamma e qualità). È stata oggetto di un attento restauro, con l’obiettivo di ripristinarne l’assoluta originalità. 

La meccanica è stata revisionata, la carrozzeria ripulita e riverniciata dove serviva, non tirata a specchio per non perdere originalità. Sono state rifatte numerose cromature e zincature sulla componentistica e sulla bulloneria originale. L’intera gamma dei colori e dei materiali utilizzati è certificata ASI e si è cercato, ove possibile, di recuperare le parti sostituendo tutte le parti soggette a usura. Una sola concessione: il cupolino, di una Sei seconda serie.