Inseparabili in garage e in pista.

Vincenzo Novella e Guido Mandracci: una coppia di piloti liguri, una storia di complicità e di intrecci, di fuoco e peripezie. da Sanremo al podio di Salisburgo.

Vincenzo Novella e Guido Mandracci sono stati fratelli di pista. Compagni di adolescenza, amici, confidenti, consiglieri. Legati con il filo di ferro, serrati con la chiave dinamometrica. Quando uno svestiva la tuta del pilota, era l’altro a indossarne una. E lo stesso accadeva con la mise da meccanico.

Vincenzo Novella e Guido Mandracci

Vincenzo Novella e Guido Mandracci

Il viaggio più carico di aspettative nel 1972: dalla loro Sanremo fino a Clermont-Ferrand, nella Francia centrale, 700 chilometri da percorrere. Un Fiat 238 come furgone, una tenda, i fornelli per cuocere la pasta e riscaldare le salse preparate dalla mamme.

Tre moto: un’ Aermacchi Aletta 125 per Vincenzo, una Yamaha 250 e una Suzuki mezzo litro per Guido.

“Ma i sughi non li abbiamo nemmeno toccati, avevamo sempre da fare. Problemi tecnici a non finire, per non perdere tempo ci facevamo dei panini”.

La voce è quella di Novella, che parla a 18 anni dalla scomparsa dell’amico, avvenuta nel 2000. Sul circuito francese la sua Aermacchi ha fatto crack per l’ennesima volta e lui ha perso la pazienza: “Ho detto a Guido che avrei continuato con il Mondiale, ma solo come suo tecnico, senza correre.

E così è stato. In quel fine settimana lui stupì tutti facendo il primo tempo nelle prove. Ma ci fu un giallo, perché la pole fu assegnata a un altro pilota. Resta un mistero che non abbiamo mai chiarito”.

Chissà. Quella stagione, in ogni caso, è di quelle che ti spingono in cantina per stappare una bottiglia buona davvero.

Guido diventa una costante delle squadre Moto Guzzi nelle gare di durata partecipando al Bol d’Or e alla 200 Miglia di Imola, ma conquista soprattutto il primo podio in 500 durante il GP d’Austria corso a Salisburgo, finendo dietro il mangiatutto dell’epoca, Giacomo Agostini.

Il ligure conferma ogni domenica le abilità di quello che Vincenzo ricorda come un “torello mangiabistecche”, espressione che ne sintetizza la stazza fisica e l’energia espressa quando abbassava la visiera.

Nel 1973 arriva la proposta della Suzuki Europa: far parte di un team che coinvolge anche l’australiano Jack Findlay, leggenda fra i piloti privati del decennio.

I due vincono la 1000 Miglia di Imola a coppie, e per Guido c’è anche il lampo mostrato a Daytona, dove partecipa alla 200 Miglia giocandosi un podio che sfuma per noie meccaniche.

Il fedele Vincenzo è sempre al suo fianco, concentrato. Il cappellino alla pescatora, le mani maculate d’olio e di grasso, la barba da piedipiatti californiano.

Gli scappa da ridere, se ripensa all’imbianchino e all’idraulico che avevano iniziato quell’avventura sul tramontare degli Anni ʼ50. L’amico alle prese con tubi e lavandini, lui con vernici e pennelli.

Le domeniche a fare le gincane, le gare di regolarità, l’esperienza del primo circuito cittadino a Cannes, in Francia. Lui classe 1944, Mandracci di due anni più grande.

Guido Mandracci e Vincenzo Novella

Guido Mandracci e Vincenzo Novella

Qualche gara su quattro ruote con i kart, ma è la moto la vera mania. “Ricordo una delle nostre prime uscite con i cinquantini, una volta eravamo così lenti che abbiamo abbandonato le moto sul percorso e ci siamo accomodati in un campo lì vicino a mangiare l’uva”.

Le corse vanno prese con la giusta filosofia, senza troppa testardaggine. Se le cose girano male, tanto vale dedicarsi ad altro, l’importante è farsi una risata in compagnia. Anche se di tempo per distrarsi Guido e Vincenzo ne trovano poco.

Il 1969 è un’annata chiave per Mandracci: “Vince due prove del campionato italiano juniores 125 e si mette in evidenza, tanto che la Moto Guzzi lo chiama per dei test che daranno il via al rapporto che lo vedrà spesso in sella alle V7 nelle gare di endurance”.

Da lì in poi Guido si concentra principalmente sulle medie e sulle maxi cilindrate: nel 1971 è campione italiano della 250. Intanto Vincenzo spinge sulla ottavo di litro, almeno fino a quel GP di Francia del 1972, quando dice basta.

Anche se l’addio è in realtà un arrivederci, perché nel 1974 la voglia di tornare è così tanta da diventare irresistibile. E così, mentre Guido prosegue con il Mondiale, lui nel 1974 parte per il Mugello e partecipa a una tappa del campionato italiano con una Yamaha 125.

L’anno successivo è più agguerrito e appare anche in qualche round del Mondiale: in Francia, al Paul Ricard, finisce in zona punti con il nono posto. A Imola, invece, si fa ingannare dalla confusione generata da una bandiera a scacchi sbandierata troppo presto.

“Ero in lotta con due rivali per l’ottava piazza quando sono passato sul traguardo e l’ho vista. Pensavo di averli battuti e ho rallentato, ma in realtà quel segnale era per il gruppo di testa, che era appena dietro di noi e ci stava per doppiare. Mi sono fermato e ho buttato via la gara”.

Sarà la vicinanza di Sanremo con la Francia: Vincenzo trova più fortuna al di là del confine. Ad Avignone vince una gara internazionale, poi il canto del cigno al Mugello nel 1976, mentre Guido è già uscito dal radar del motomondiale. “Pensavo che il mio motore avesse un determinato chilometraggio, ma avevo sbagliato i calcoli e ho rotto. Fine della carriera”.

Guido Mandracci

Guido Mandracci

Su di lui aleggia un dubbio: è da celebrare come il fido scudiero del ben più popolare Mandracci, oppure come manico inespresso a causa di una carriera a singhiozzo? La questione per Vincenzo non si pone neppure, lui bada a ciò che gli è rimasto nel cuore, dei palmares se ne frega.

Ricorda lo spettacolo notturno dei boschi attorno a Clermont-Ferrand, illuminati dalle centinaia di falò degli spettatori che campeggiavano.

Pensa a quella volta in cui dovevano fare un test ma la pista era chiusa e allora lui e Guido si sono lanciati in autostrada con una Yamaha 250 da Grand Prix, da una stazione di servizio all’altra senza fari né targa, che se li beccava la polizia erano guai.

E poi alle ore trascorse a testa china sopra ai motori, sull’erba ruvida dei paddock, nei garage trasformati in officina. L’aroma di miscela e la puzza di bruciato: “Come quando a Imola Guido arriva ai box con la catena strappata, io non ci penso due volte e inizio a cambiarla a mani nude, ma il pignone è rovente e rimedio una brutta ustione seguita da qualche linea di febbre.

Un dolore lancinante. Ma era la 1000 Miglia che Guido ha vinto insieme a Findlay, l’importante era portare a casa il risultato”.

Credits
Testi: Jeffrey Zani
Foto: Archivio/J. Zani