Talento puro, cavallo pazzo?

Il pilota di tradate, nove volte campione, è questo e altro: tra i pionieri italiani del flat track, ha vissuto al limite e di traverso.

Ma, caso più unico che raro, senza mai farsi troppo male.

Ventidue anni di attività nel flat-track tricolore e internazionale. Una storia sulla pista ovale e una vita a manetta, senza compromessi, e qualche volta spericolata.

Jacopo Monti è un tipo ironico: “Per me la moto è sempre stata solo passione, però non sono un customizer e forse non ho mai fatto davvero il pilota”, racconta oggi con una buona dose di lunare surrealismo.

“Era mio fratello che correva, io ho sempre fatto il giardiniere, il cameriere, per un periodo ho avuto uno stile di vita parecchio eccessivo, diciamo così… quindi come avrei fatto a fare il pilota?”.

Oggi il gran manico di Tradate, classe 1975, che in tasca ha sei titoli italiani, due europei e uno inglese, ha (forse) spento il fuoco dell’agonismo e vive in cascina a Varese con la moglie e quattro figli e con un campo verde davanti casa che prima o poi diventerà pista ovale permanente per la sua scuola di guida in derapata.

Viene da una famiglia di gente del motore: il nonno Carlo era pilota ufficiale Frera e corse la Milano-Napoli e la Milano-Taranto, e suo padre era concessionario Piaggio.

Secondo di sei fratelli, tre maschi e tre femmine educati con rigore dalla mamma, Monti è cresciuto nel rione Bartolora, e su quegli sterrati di periferia ha iniziato a derapare insieme a uno dei suoi fratelli, prima con le biciclette e poi con il Ciao recuperato nel negozio del padre.

Proprio insieme al padre ha iniziato a frequentare la pista ovale di Castiglione Olona, vicino alla sua Tradate, dove correvano i pionieri italiani del flat track e dove nel 1993, a 18 anni, è approdato finalmente alla corse.

Aiutato da Giorgio Ceccarello, uno degli esperti piloti della prima ora, ha esordito con una Yamaha 250 2 tempi per passare ben presto alla moto più classica della vecchia scuola americana, dotata del mitico telaio Ron Wood e motorizzata col grosso mono Rotax 500 apprezzato dagli specialisti veri.

Anni di gare quasi tutti legati a questa moto icona della pista ovale, e quando possibile anche al numero 5, quello di Penelope Pitstop, il personaggio dei cartoon di Hanna-Barbera per cui cui andava matto da piccolo.

Proprio copiando il colore dell’auto della fascinosa delle Mille Miglia, la moto di Monti è stata per un lungo periodo verniciata di rosa (lo stesso colore delle bici che usava per derapare) dopo essere passata anche dal nero opaco e dalla fantasia leopardata.

Nella sua storia di competizioni c’è anche il monomarca Harley-Davidson 883R organizzato dalla Numero Uno di Carlo Talamo, del quale è stato costretto a saltare la prima stagione, nel 1996, perché era partito militare, e che ha chiuso due volte terzo nel ʼ97 e nel ʼ98.

Ha perfezionato la sua tecnica al Kenny Roberts Training Ranch di Barcellona e alla scuola di Chris Carr.

“Ho corso sempre e soprattutto per me stesso, senza cercare necessariamente la ribalta – racconta – e ho vinto nove titoli senza chiudere il gas e senza mai una botta pesante, mai una notte di ospedale: anche questo è un bel risultato! Ritengo di essermi fatto conoscere e rispettare sulle piste nazionali e internazionali, questo mi piace e mi basta”.

Che tipo di moto ti interessa?

“Il flat track, che in Italia è sempre stato una realtà piccola, ha sempre rappresentato il mio riferimento unico per la motocicletta, basti pensare che non ho neppure la patente della moto: dal mio punto di vista le due ruote sono solo la pista ovale e il Ciao, o poco più”.

Cos’ha di speciale il flat?

“Questa disciplina sta conquistando notorietà sull’onda della diffusione delle moto special e minimaliste: la moto da flat è l’essenza, il concentrato; ruote, telaio, motore e un sellino quasi inesistente.

Spero che questa scoperta da parte di un pubblico più vasto possa far aumentare il numero di praticanti: l’ovale è un’ottima palestra dove imparare il controllo totale della moto, come ci insegnarono gli americani arrivati al motomondiale da King Kenny in poi”.

Jacopo Monti e la Ducati 750

Jacopo Monti e la Ducati 750

Jacopo Monti è uno che le moto se le è spesso fatte da sé.

Agonisticamente parlando, oggi ha appeso la ciabatta di ferro al chiodo, ma è diventato un garagista per passione: crea moto da ovale e fa qualche esperimento con i motorini.

Tra le sue creazioni ci sono una Honda Crf 450 modificata seguendo i canoni in uso oggi in America e che ha utilizzato in gara dal 2010 in poi, una Ktm 690 premiata al Motor Bike Expo, e la Ducati 750 che vedete in queste pagine.

La bicilindrica Desmo è ispirata nelle forme a quella Ron Wood da lui tanto amata: l’abitino monoscocca superiore in alluminio copre completamente il piccolo serbatoio da 3 litri nascondendo anche il tappo, contribuendo così ad affilare la linea della moto.

Per fare rifornimento bisogna staccare la scocca intera, ma la manovra è molto rapida.

Il reparto sospensioni della moto di Borgo Panigale è stato sostituito con un mono prelevato dal retrotreno di una Ktm da cross e da una forcella presa da una Yamaha R6 con le piastre rifatte per adattarsi alla particolare ciclistica.

Il telaio è stato irrobustito con alcuni fazzoletti di rinforzo nella parte centrale, mentre i cerchi in lega sono stati sostituiti con due ruote a raggi Alpina da 19” gommate Maxxis Dtr-1; tutto il resto è stato tolto, nel rispetto del minimalismo più spinto.

“La moto da ovale è sexy – ci dice soddisfatto Monti – guardandola così non puoi affermare il contrario: filante, snella, bellissima. E con quelle ruote da 19” sembra una donna con le gambe lunghe”. Noi non riusciamo a dargli torto.

Credits
Testi: Massimo Tamburelli
Foto: @Tamboogarage/Archivio