Prima conosciuta per le bullet low cost e di nicchia, con le due bicilindriche la casa indiana entra in una nuova era. E inizia a far tremare i grandi.

La prima Royal Enfield della nuova generazione, quella indiana, arrivò in Italia a metà degli Anni ’90 ed era ancora identica a quella che nel 1956 era stata inviata in Asia per avviare la produzione su licenza.

Quando quasi 40 anni più tardi ereditarono il marchio, le Bullet non si erano evolute, avevano ancora l’avviamento a pedale e il cambio a destra con la prima in su. Se prima non avevi mai guidato nulla di questa generazione e non eri concentrato, il rischio era quello di arrivare a un incrocio e di inserire una marcia invece di frenare.

Poi le monocilindriche indiane hanno iniziato a evolvere quel tanto che bastava per diventare più attuali almeno a livello di comandi, e nel 2016 noi di Ferro abbiamo messo alla prova una Classic 500 partecipando alla Cannonball, riuscendo a lasciarci alle spalle moto sulla carta più sportive. Allora quella era la cenerentola del gruppo, ma ora le cose sono cambiate, perché per Royal Enfield è definitivamente tramontato il ruolo di Casa low cost di nicchia, anche se le Bullet (che nel frattempo sono diventate Euro 4) continuano a essere assemblate a ritmi di oltre mezzo milione di esemplari ogni anno.

Royal Enfield Continental GT
Royal Enfield Continental GT

Il 2018 è l’alba di una nuova era, che parte dalla conquista dei mercati che contano con le due bicilindriche annunciate solo dodici mesi fa.

Partendo nientemeno che dagli Stati Uniti, dove la Interceptor 650 e la cafe racer Continental GT (sì proprio come la Rolls-Royce) sono state presentate alla stampa mondiale. Perché proprio lì? Per una serie di motivi.

Innanzitutto perché i due modelli sono la riedizione delle omonime bicilindriche, in particolare la Interceptor 750, nate nei primi Anni ’60 per contrastare proprio negli Usa l’invasione delle giapponesi. Ma anche perché la loro invasione parte idealmente proprio dalla West Coast, dove la commercializzazione è praticamente già iniziata con prezzi che fanno tremare i marchi top, visto che si parte sotto la soglia dei 5.000 dollari.

In Europa le quotazioni sono un po’ più alte, tuttavia sempre concorrenziali: a partire da 6.200 euro la Interceptor, a partire da 6.400 euro la Continental GT 650. Per realizzare queste moto, gli indiani hanno scelto una soluzione che non si discosta più di tanto da quella che utilizza Ducati per la gamma Scrambler: una base declinata in più stili.

Due per ora. Stesso telaio, stesso motore, stesse ruote: le differenze riguardano il serbatoio, la sella e, naturalmente, il manubrio. Con la possibilità, ormai imprescindibile per il mercato moto e in particolare per il settore modern classic, di personalizzare il tutto con le parti speciali già pronte.

Provare la Continental GT e la Interceptor sulle strade della California, tra Santa Cruz e San Francisco, è stato davvero emozionante.

Anche perché dobbiamo dire che gli apripista hanno guidato ad andature che mai ci saremmo sognati di poter raggiungere in un Paese dove i limiti di velocità sono controllati con sistemi che vanno ben oltre quelli usati da noi, e prevedono anche l’uso di elicotteri.

Invece le velocità nei vari tratti sono quasi sempre risultate doppie rispetto a quelle prescritte, e in un paio di occasioni è perfino intervenuto il limitatore di giri in sesta, a circa 120 miglia all’ora indicate (oltre i 190 km/h). Questo per dirvi che, in questa prova, le bicilindriche Royal Enfield non sono andate solo al trotto ma sono state spremute a dovere, ben oltre la loro “comfort zone”. E non hanno deluso: il primo assaggio è stato eccellente.

CAFE RACER EDUCATA

La Continental GT è la più sportiva, almeno nella posizione di guida, dato che il motore, come abbiamo detto, è comune ai due modelli. Le pedane arretrate (ma non troppo) e i semimanubri portano a caricare naturalmente la ruota anteriore e di conseguenza i polsi, ma senza esagerare.

Allo stesso tempo si tende a cercare con il fondischiena la bombatura posteriore della sella, che termina con un caratteristico codino da cafe racer. I 47 cavalli non ne fanno di certo una superbike, ma la guida è sorprendente: la Continental è agile e precisa e in uscita di curva permette di accelerare senza curarsi troppo di gestire il polso destro.

Merito del telaio, delle sospensioni che se la cavano bene su ogni tipo di percorso anche senza possibilità di intervenire sulla loro regolazione. Ma parte del risultato è da attribuire alle gomme, una coppia di pneumatici che gli indiani e gli inglesi del centro ricerche hanno messo a punto con Pirelli espressamente per questi due modelli.

Con i volumi di produzione previsti, assicurano, l’uso di prodotti di qualità (come i freni del gruppo Brembo) è preferibile a quello di componenti economici.

PER MORBIDE PASSEGGIATE

Le valutazioni relative al motore non possono che coincidere; anche sulla Interceptor è docile, spinge bene ai medi regimi, sopra quota 4.000 giri e vibra pochissimo. In più è accoppiato a un cambio incredibilmente preciso, tanto che anche fermandosi in sesta, la folle si trova al primo colpo.

Le sospensioni hanno una taratura più morbida e anche la distribuzione dei pesi risulta leggermente più “centrale”, nel senso che l’avantreno è meno caricato. La Interceptor 650 infatti si guida con il busto eretto e rispetto alla Continental GT assicura una manovrabilità ancora maggiore, regalata dal manurio largo.

Quel che conta è che in ogni situazione questa bicilindrica dal classico stile british è facile da guidare, alla portata di chiunque, e soprattutto divertente. Difetti? Considerando il posizionamento di prezzo, diciamo che con una migliore finitura delle piastre forcella e uno scarico rialzato, per noi sarebbe perfetta.

La via di Siddharta: “moto globali in armonia con tutte le omologazioni”

“Per definirsi, come noi, ‘the oldest global motorcycle brand in continuous production’ bisogna avere una storia. E Royal Enfield ce l’ha, visto che produce moto dal 1901”. 

Lo dice Siddhartha Lal (nella foto qui sopra), 45enne CEO della Eicher Motors, il Gruppo che dal 1994 ha portato in India lo storico marchio inglese, fino a oggi noto per la produzione delle monocilindriche Bullet, assemblate senza interruzione dal 1948. Ma dopo la piccola rivoluzione introdotta con il lancio della Himalayan oggi gli indiani non si accontentano più di dominare il mercato interno, vogliono espandersi.

“Non vogliamo metterci in competizione con nessuno, semplicemente tornare a proporre moto di segmento medio che non esistono più, visto che esistono solo gli estremi. E vogliamo farlo offrendo modelli capaci di trasmettere la poesia e il romanticismo del passato. I numeri ci danno ragione, siamo passati dalle 32.000 moto vendute in India nel 2007 alle 820.000 prodotte nel 2017”.

Sono volumi da industria automobilistica, non facili da raggiungere, ma Siddhartha ha una strategia che sembra funzionare: “Il segreto credo che sia semplice, proporre un listino globale, senza cadere nella tentazione di personalizzarlo per ogni Paese. La fase più difficile è la progettazione, perché si tratta di combinare decine di normative per le omologazioni, ma ce l’abbiamo fatta. Anche le dotazioni non cambiano, proponiamo i motori più ecocompatibili e l’abs anche dove non sono richiesti. Non è uno spreco, anzi a conti fatti è un risparmio. E i risultati si vedono”.

Credits
Testi: Valerio Boni
Foto: Royal Enfield Courtesy