NON MANCA PIÙ NESSUNO

In questa piccola giostra dei sogni le cose cambiano in fretta. Un settore che era marginalissimo, quello delle modern classic, è diventato rilevante e ci si sono buttati dentro tutti. Più o meno efficacemente, più o meno credibilmente, ma nessuna grande azienda si astiene dal presidiarlo.

Se proviamo a tirare fuori da un cassetto la fotografia di cosa era questo mondo dieci anni fa, ci ritroviamo tra le mani un ritratto fumoso e poco intelligibile. Anche perché, per essere onesti, quello di allora non era nemmeno considerabile un “settore”, semmai un insieme di casi isolati.

A combattere la sua guerra santa sotto il vessillo del’heritage c’era già Triumph, con una gamma quasi interamente votata al ferro; dal Giappone, poi, arrivava una bizzarra pattuglia di “muscle naked” vecchia maniera (Yamaha Xjr, Kawasaki Zrx1200, Suzuki Gsx, Honda CB1300), quasi nascoste nei listini del nuovo e ignorate dal pubblico di massa che sbavavainvece per le varie Hornet, Z750, FZ6 e simili, capaci di dominare il mercato con numeri di immatricolato oggi impensabili; poi c’era Ducati con quel capolavoro di stile che era la famiglia Sportclassic (firmata da Pierre Terblanche), un trittico di ferri retrò su meccanica Supersport accolto tiepidamente – è un eufemismo – dal mercato nel 2005, prima di eclissarsi tristemente nel giro di qualche stagione. Il tempo ha dimostrato che erano moto splendide, semplicemente troppo avanti.

E oggi? Beh oggi ogni costruttore gioca la sua carta e ci sono modern classic di tutti i prezzi, anche molto bassi: per esempio esiste un’ampia offerta di 125 orientali da duemila euro o poco più (Mash,Vervemoto, Hanway, Brixton etc) anche ben fatte, ultraeconomiche nella gestione e che costituiscono un piccolo fenomeno da non sottovalutare.

Insomma, quello dei ferri ora sì che è un mondo vero: è un settore ormai riconosciuto e codificato, che contiene al suo interno un fiorire di nicchie e sottocategorie. Dalle “molto classic e poco modern”, alle “very modern con una spruzzatina di classic”.

C’è di tutto. Perché è chiaro che tra una Royal Enfield Bullet e la nuova, pazzesca Honda CB1000R ‒ tanto per prendere i due estremi ‒ c’è un mondo intero, in termini di prestazioni, tecnologia, ambizioni, prezzo. Ma anche di senso e vocazione, visto che la quattro cilindri Honda è a tutti gli effetti una attualissima naked che indossa un attillato abito “neoclassic”, mentre la mono indiana dopo mezzo secolo è in gran parte rimasta “the real thing” e sembra quasi strano che all’anteriore monti un freno a disco.

Insomma, oggi ce n’è per tutti: conviene mettere da parte lo snobismo e riconoscere che è un bene. Starà a ognuno di noi ponderare, tenendo a portata di mano il proverbiale bilancino (a patto che sia totalmente analogico, almeno lui), il grado di “modern” e quello di “classic” per scegliere il nostro prossimo ferro.